Roma: Il quarto e quinto miglio della via Appia Antica

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Diario di: Redazione GoTellGo
Autore: Redazione GoTellGo (Archeologia)
Goteller: Redazione GoTellGo
Categoria: archeologia
Creato il: 22/05/2010
Data Da: 04/04/2010
Data A: 04/04/2010
Licenza: Creative Commons License
Nazioni: Italy
: roma
Posti visitati: Casal Rotondo, villa dei Quintili, tumuli degli Orazi e Curiazi, sepolcro dei Rabiri, Sepolcro di Claudio Secondo, Tempio di Giove. Sepolcro dorico, Sepolcro dei Licinii, Sepolcro dei figli di Sesto Pompeo, Sepolcro di Seneca

Questo secondo itinerario lungo la via Appia antica prevede una passeggiata dal quarto al quinto miglio, fino a Casal Rotondo, lungo il tratto più spettacolare dell'Appia antica: qui le sopravvivenze archeologiche proseguono ininterrotte in una cornice di pini e cipressi che esaltano i ruderi e conferiscono alla strada un aspetto solenne.

Dall'inizio del IV miglio inizia il tratto della via che tra il 1850 e il 1853 fu oggetto di metodici scavi e restauri da parte di Luigi Canina, Antonio Canova, Giovan Battista De Rossi e altri illustri studiosi. Essi portarono alla luce numerosi edifici, frammenti architettonici, statue, rilievi, iscrizioni, generalmente conservati sul luogo. A protezione della strada, su entrambi i lati, venne eretto un muretto a secco.

Tra il III e l'XI miglio la via Appia antica segue un rettifilo perfetto, come potete vedere a occhio nudo nei tratti liberi da vegetazione, che consentono una visuale fino alle pendici dei Colli albani. Indice questo di grande abilità ingegneristica da un lato e di un atteggiamento aggressivo rispetto alle condizioni naturali, dall'altro.

Il tratto di strada oggetto dell'itinerario è caratterizzato da sepolcri a torre, spesso spogliati dei grandi filari regolari di blocchi di travertino e tufo che rivestivano esternamente il nucleo cementizio, la cosiddetta opera quadrata. Se gli elementi decorativi sono stati asportati nel corso dei secoli per alimentare le collezioni antiquarie di tutto il mondo, i blocchi di rivestimento delle tombe dell'Appia furono considerate vere e proprie cave dove recuperare i materiali edilizi per le costruzioni Medievali e Rinascimentali.

Ecco perché‚ oggi, nella maggior parte dei casi, si conserva solo il nucleo del sepolcro, realizzato in travertino e selce amalgamati in una miscela di calce e pozzolana, un insieme che garantiva una coesione eccezionale. Sulla superficie del nucleo si possono spesso riconoscere le impronte in negativo dei filari di blocchi in opera quadrata.

Iniziamo il percorso dopo Forte Appio, all'altezza del civico 270.

Sulla destra si conserva per l'appunto uno di questi sepolcri, spogliato completamente del rivestimento originario. Nonostante la vegetazione invadente, immaginatelo come costituito da tre corpi geometrici sovrapposti: un cubo, un prisma a otto facce, un cilindro. E' un tipico esempio di architettura funeraria ispirata forse ad opere greche, particolarmente sfruttata nel corso del II sec. d.C.

Quasi di fronte, sul lato opposto della strada e in pessimo stato di conservazione, si erge il cosiddetto Sepolcro di Seneca, a lui attribuito in base a un racconto di Tacito. Nei suoi Annali infatti lo scrittore romano narra che successivamente al soffocamento della congiura capeggiata da Pisone, Nerone nel 65 d.C. ordinò la morte del filosofo. Sembra che Seneca, tornando dalla Campania, si fosse fermato in una fattoria suburbana di sua proprietà al quarto miglio dell'Appia e che al calar della sera fosse stato costretto ad uccidersi, dopo che la villa era stata circondata da un manipolo di soldati.

Il sepolcro è caratterizzato da un nucleo cementizio preceduto da una facciata in laterizio eretta dal Canova. Al momento dello scavo si rinvenne in loco un sarcofago con la rappresentazione del mito di Ati ed Adrasto, trasportato successivamente nel mausoleo di Cecilia Metella. La datazione del sarcofago alla seconda metà del II sec. d.C. fece cadere la suggestiva ipotesi dell'attribuzione del sepolcro a Seneca, vissuto tra il 50 a.C. e il 40 d.C.

Poco oltre, sullo stesso lato, raggiungete i resti di un grande sepolcro circolare, circondato da pini, all'altezza del civico 199a.

Spogliato anch'esso del suo rivestimento, doveva essere costituito da un podio quadrato su cui poggiava un corpo cilindrico, a sua volta terminante con una copertura a cono. Dal lato opposto alla via, si accedeva alla cella funeraria, in cui si aprivano grandi nicchie e una volta ricoperta di stucchi. All'esterno del nucleo, potete osservare le cavità in cui erano inseriti i blocchi di travertino del rivestimento. I frammenti marmorei qui collocati non sono però pertinenti a questo edificio.

Costeggiate una pittoresca abitazione ricca di frammenti architettonici antichi nelle murature e fermatevi all'altezza di un sepolcro costituito da una semplice camera rettangolare, lungo il lato sinistro della via.

La tecnica costruttiva, in questo caso, è la pietra albana, meglio conosciuta come peperino, rivestita successivamente con sottili file di mattoni rossi, molto rovinati. Dell'originaria copertura rimane solo la struttura in opera cementizia. Dalla fronte che prospetta sulla via potete scorgere l'interno e gli stipiti della porta che si apriva sul lato posteriore.

Raggiungiamo il Sepolcro dei figli di Sesto Pompeo, all'altezza del civico 201, sulla sinistra.

Di questo sepolcro si conserva una piccola camera ipogea coperta a volta, mentre la parete in laterizio venne eretta dal Canova che vi fece murare numerosi frammenti marmorei. In alto, al centro, potete osservare il frammento di un sarcofago con i ritratti di due coniugi all'interno di una conchiglia, risalente al III secolo d.C. A destra si conservano i frammenti di un coperchio di sarcofago con scene di caccia; a sinistra è scomparso un rilievo con amorini che sorreggevano una ghirlanda. La grande iscrizione metrica del I sec. d.C., in distici elegiaci, venne posta sul sepolcro da un ignoto Sesto Pompeo, che lamenta amaramente la morte di due fanciulli strappati alla vita prematuramente. Il genitore sperava di essere sepolto prima dei figli mentre, invece, fu costretto ad allestire il rogo per loro. Egli invita perciò i passanti alla solidarietà del compianto, pregando gli dei di affrettare l'ora della propria desiderata morte.

Poco oltre, ancora sulla sinistra, si conservano i ruderi del cosiddetto Tempio di Giove, che nonostante la denominazione, doveva essere un ulteriore sepolcro. Potete riconoscere un grande ambiente quadrato in opera laterizia, absidato su tre lati. Originariamente, l'edificio doveva essere ricoperto da una grande cupola e preceduto da un vestibolo. La costruzione va datata al III secolo d.C.

Di fronte a questo, sull'altro lato dell'Appia, purtroppo in proprietà privata e difficilmente distinguibile tra la vegetazione, si conserva il cosiddetto Sepolcro di Sant'Urbano, vescovo di Roma dopo S. Callisto all'inizio del III secolo. Le fonti narrano che il suo corpo fosse stato traslato da una nobile di nome Marmenia in un gran sepolcro nei pressi della sua villa sull'Appia. Il monumento, trasformato in fortilizio nel Medioevo, era costituito da un'aula quadrangolare con profonde nicchie laterali ed abside sul muro di fondo. Vi si accedeva da una gradinata che conduceva in un vestibolo, di cui si conserva ancora il basamento. La tipologia a tempio di questo sepolcro riporta a un'architettura del II secolo d.C.

100 metri oltre, sulla destra, raggiungete il Sepolcro dei Licinii, di fronte al civico 203.

Potete riconoscere il solito nucleo in opera cementizia, spogliato del rivestimento originario in opera quadrata, che forse terminava con una parete a cupola. La parete in laterizio che lo precede è di epoca moderna. Osservate la lastra marmorea del I secolo d.C. su cui sono stati incisi i nomi dei defunti appartenenti alla Gens Licinia e quello del liberto Tito Quinzio Panfilo. A fianco della tomba si conservava una statua funeraria maschile priva della testa, raffigurante un togato con il braccio destro appoggiato al risvolto della toga e quello sinistro disteso lungo il fianco. Per motivi di sicurezza è stata trasferita al Mausoleo di Cecilia Metella.

Subito dopo, sempre sulla destra, ecco il Sepolcro dorico, così chiamato per la presenza di un fregio di peperino in ordine dorico, con triglifi e metope decorate con elmi, bucrani e motivi vegetali. Il fregio dorico veniva utilizzato con frequenza in età tardo-repubblicana e all'inizio dell'Impero. Al centro della fronte, ricostruita in blocchi di peperino sulle fondazioni di un edificio a pianta quadrata, si conserva un frammento di rilievo con scene di caccia.

Percorrete altri venti metri mantenendovi sempre sulla destra e raggiungete il Sepolcro detto di Ilaro Fusco.

Questo monumento è costituito da resti di muratura in laterizi e da una fronte rialzata dal Canina, su cui è murato un bassorilievo con ritratti di cinque defunti. E' doveroso avvertirvi che per motivi di sicurezza, questo e altri rilievi analoghi sono stati sostituiti con dei calchi, mentre gli originali sono conservati nel Museo Nazionale Romano a Palazzo Massimo. Il realismo dei volti e l'analisi dell'acconciatura riportano alla prima età imperiale. Il Canina fece collocare sopra al rilievo anche un frammento di lacunare e degli elementi architettonici riutilizzati abilmente nel coronamento di questa ricostruzione.

Percorrete altri cinquanta metri e raggiungete ciò che resta di un colombario. Il colombario era costituito da una stanza rettangolare preceduta da un vestibolo, eretta in mattoni giallognoli, con copertura semicilindrica, evidentemente di restauro. Lungo la parete potete osservare le nicchie che dovevano ospitare le urne cinerarie.

Pochi passi e raggiungete, sempre sulla destra, il Sepolcro di Claudio Secondo, di cui rimane solo parte del nucleo cementizio e del basamento in travertino. Sulla parete in laterizio fatta elevare dal Canina sono visibili i frammenti di un'iscrizione marmorea, basi per statue iscritte, elementi architettonici, frammenti delle cornici originali, elegantemente modanate. Nonostante le lacune, l'iscrizione ci illumina sul dedicante: Tiberio Claudio Secondo Filippiano, liberto di un imperatore giulio-claudio, banchiere, attendente di magistrati, scriba, messaggero, che fece erigere il sepolcro in onore della moglie ottima Flavia Irene e dei figli Tiberio Claudio Secondino e Claudia Secondina.

Costeggiate quindi sulla destra, di fronte al civico 219, i resti di un colombario rettangolare in mattoni rossastri e una parete moderna in laterizio con frammenti architettonici in marmo e travertino, tra cui un lacunare scolpito con motivi floreali.

Superate via degli Eugenii e raggiungete, sempre sulla destra, un pittoresco sepolcro a tempietto. Una gradinata racchiusa da due avancorpi conduce al podio in cui è stata ricavata una camera inferiore coperta a volta. Sul podio si elevava la cella, parzialmente conservata, e un vestibolo preceduto da colonne di marmo e sormontato da frontone, oggi scomparsi. Le grandi nicchie nelle pareti della cella dovevano ospitare delle statue. Si osservi attentamente l'esterno, decorato con lesene, capitelli corinzi e trabeazione. Questo tipo di sepolcro è tipico del II secolo d.C.

Poco distante, ancora sulla destra, raggiungete il sepolcro dei Rabiri. Venne ricostruito dal Canina come una grande ara con cornice di base a gola rovescia, lesene, trabeazione aggettante e coronamento con pulvini laterali decorati con foglie lanceolate. Sulla fronte è murato il calco di un rilievo funerario con i ritratti di Caio Rabirio Ermodoro, liberto di Postumo, Rabiria Demaride, e Usia Prima, sacerdotessa di Iside. I primi due ritratti sono di epoca augustea mentre il terzo venne probabilmente realizzato mezzo secolo dopo. Il ritratto della sacerdotessa con corona di foglie è particolarmente interessante. Ai suoi lati potete riconoscere un piatto sacrificale e un sistro, tipo di strumento utilizzato durante i culti isiaci. Sulla parete laterizia, sono murati altri frammenti, tra cui un rilievo con armi ed elmo somontato da corna, e un'iscrizione dedicata a un tribunun militum morto in Lusitania.

Riprendiamo la passeggiata fiancheggiando alcuni nuclei di cementizio e grossi blocchi di marmo, tra cui un'iscrizione su cui sono incisi i nomi dei liberti Emilio Alexa, Emilia Filusa e Mario Clodio Filistorgo. Raggiungiamo quindi un bel sepolcro ad ara, in peperino.

Il sepolcro era sormontato lateralmente da pulvini con testa di Gorgone, purtroppo scomparsi. Osservate anche il fregio fatto apporre dal Canina, con putti che sostengono festoni, di ispirazione ellenistica, e la cornice con piccole mensole. Il monumento risale alla fine dell'età repubblicana.

Subito dopo, era situato un sepolcro a torre, di cui si conserva solo il nucleo cementizio. Sulla consueta parete in laterizio eretta dal Canina, si conservano numerosi frammenti tra cui un frontone in travertino con fiore a doppio ordine di petali, probabilmente pertinente al coronamento del sepolcro, e un bassorilievo funerario con busti di quattro personaggi entro una cornice: i coniugi, in posizione centrale, sono ritratti nel gesto della dextrarum iunctio, l'unione delle mani destre, simbolo del matrimonio; ai lati si riconoscono i giovani figli. L'analisi stilistica induce a datare l'opera tra la fine della Rebubblica e l'inizio dell'Impero. Tra gli altri frammenti spicca quello di un sarcofago scolpito con figure e animali tra onde marine.

Sulla sinistra della strada, dopo una decina di metri, si ergono un edificio in laterizio e cementizio e subito dopo, un colombario in laterizio con nicchie per le urne cinerarie. Osservate i riquadri e le lesene all'interno, evidenziati dalla policromia dei mattoni utilizzati.

Raggiungiamo l'incrocio con via Erode Attico e via di Tor Carbone.

Da qui in poi la sistemazione delle emergenze archeologiche non venne realizzata con la continuità del tratto appena percorso, di conseguenza i ruderi e i frammenti architettonici sono conservati più disordinatamente, ma non per questo sono meno pittoreschi. Ci soffermeremo solo sulle emergenze più significative. Raggiungete sulla sinistra il civico 247.

Osservate una bella statua funeraria femminile, tipica dell'età repubblicana e raggiungete quindi il civico 288a, sulla destra.

Qui potete osservare una bella lastra funeraria di alcuni liberti della gens Valeria, dai curiosi nomi orientali Baricha, Zabda e Achiba, sicuramente schiavi trasportati a Roma e liberati in un secondo tempo. A poche decine di metri, ancora sulla destra, si conserva un bassorilievo funerario con due busti, di età repubblicana.

Sul lato opposto, svetta un grande edificio quadrangolare in laterizio a due ordini. Come in altri sepolcri di questo genere, al piano inferiore si collocava la camera funeraria, in quello superiore si svolgevano le cerimonie funerarie. Mattoni di colore diverso sono stati utilizzati per evidenziare il disegno delle lesene e della trabeazione. La parete frontale e i marmi in essa collocati vennero sistemati anche in questo caso dal Canina.

Poco dopo, ecco di fronte a noi, un ulteriore sepolcro in laterizio: l'alta camera sepolcrale, piuttosto ben conservata, era stata eretta su un alto podio. La doveva precedere un vestibolo, al posto del quale venne eretta una torretta in epoca medievale.

Sorpassiamo velocemente il tratto di strada successivo, in cui svettano i resti di un grande mausoleo rotondo su zoccolo parallelepipedo, sormontato da ruderi medievali. Poco dopo la strada compie un lievissimo semicerchio, interrompendo per un breve tratto il lungo rettifilo a cui avevamo accennato. Siamo all'altezza del V miglio, legato a memorie leggendarie della storia di Roma: qui probabilmente era collocato il primitivo confine dello Stato romano e forse la deviazione della strada era dovuta all'esistenza di un monumento sacro relativo al confine dello Stato; qui probabilmente si localizzavano le Fosse Cluilie, dove Cluilio, re di Alba Longa, avrebbe posto l'accampamento all'epoca dello scontro contro il re di Roma Tullo Ostilio; qui si sarebbe svolto il celebre duello tra gli Orazi e i Curiazi, durante il regno di Tullo Ostilio. Per risolvere l'interminabile conflitto tra Roma e Alba Longa, si rimise la decisione a un duello tra tre Albani e tre Romani, i tre fratelli Curiazi e i tre fratelli Orazi. Nel confronto, due dei romani caddero per mano dei Curiazi, uccisi a loro volta in luoghi tra loro distanti dal terzo Orazio, che era riuscito a fuggire verso la città.

Sulla destra dell'Appia, infatti, incontriamo tre grandi tumuli: il primo, sormontato da una torretta cilindrica in tufelli e distaccato dagli altri, all'altezza del civico 251, è stato identificato dalla tradizione come la tomba di uno dei tre Curiazi uccisi dall'Orazio superstite. Non lontano da questo tumulo, e non più visibile, era stato eretto un recinto in opera quadrata di peperino, identificato da alcuni studiosi come ustrino, il luogo cioè destinato alla cremazione dei cadaveri.

Percorriamo altri cento metri e raggiungiamo i tumuli successivi.

La coppia di tumuli è riferita dalle fonti ai due Orazi caduti per primi nel corso del duello. Si presentano come dei coni di terra impostati su un basso podio di cui restano, in precario stato, le originarie cornici sagomate, rispettivamente in peperino e travertino. Il loro diametro raggiungeva quasi 30 metri, equivalenti a 100 piedi romani. Il podio di uno dei due tumuli era decorato con una serie di cippi posti ad intervalli regolari. Li potete osservare sparsi disordinatamente nei pressi del monumento. I due mausolei sono stati datati tra la fine della Repubblica e l'inizio dell'età imperiale: se quindi, come riferisce Livio, qui erano stati sepolti alcuni dei leggendari eroi, i monumenti che noi oggi possiamo ammirare sono ricostruzioni di epoca successiva.

Poco prima di questi, sulla sinistra, non può apparire inosservato un grandioso nucleo in calcestruzzo di selce, pertinente a un colossale sepolcro a dado, sormontato da una piramide. Il monumento è stato spogliato nel tempo perfino dei blocchi di fondazione, assumendo la curiosa forma di un enorme fungo.

Immediatamente dopo, osservate uno dei tratti meglio conservati della strada antica, anche  se il passaggio continuo delle automobili non fa che accrescere inesorabilmente il suo degrado. I limiti del tracciato, i margines, erano costituiti da pietre conficcate nel suolo; la larghezza era pressoché‚ costante: circa 4,15 metri, corrispondenti a 14 piedi romani, che consentivano il passaggio contemporaneo di due carri. Ai lati erano situate le crepidines, i marciapiedi per il traffico pedonale, di larghezza mai inferiore ai 5 metri. Generalmente questi erano realizzati in terra battuta, forse ricoperta di ghiaia, il manto stradale invece era costituito da grossi basoli di selce, tagliati superiormente secondo un profilo poligonale. La parte inferiore dei basoli, irregolare e rastremata, veniva conficcata in uno strato regolare di ghiaia e ciottoli che assicurava solidità ed elasticità alla superficie stradale. Nonostante il dissesto attuale, si può ancora percepire l'accuratezza con cui veniva realizzata la connessione tra i basoli.

Procopio, storico del VI secolo, così tramanda: "Levigate e appianate le pietre, e tagliatele ad angolo, Appio Claudio le combinò tra loro senza calce n‚ altro coesivo, ed esse stanno unite ed aderenti tanto saldamente che chi le osserva non crede siano giustapposte, ma che formino un unico insieme".

Raggiungiamo sulla sinistra i grandiosi ruderi della villa dei Quintili, visitabile ma con accesso dalla via Appia Nuova. Grazie al rinvenimento di una fistula aquaria, i proprietari vennero identificati con i due fratelli Sesto Quintilio Condiano Massimo e Sesto Quintilio Valeriano Massimo, entrambi membri di un'importante famiglia senatoria di età antonina, consoli nel 151 d.C. e scrittori di opere militari e  di agrimensura. Vennero  condannati a morte nel 182 d.C.  con la falsa accusa di aver congiurato contro l'imperatore Commodo e la loro proprietà passò nelle mani di quest'ultimo. Nel Medioevo alcuni settori della villa vennero fortificati, mentre nei successivi il complesso divenne proprietà dei monaci Camaldolesi, ai quali si deve la costruzione del vicino Casale di S. Maria Nova. Nel 1797 la villa venne acquistata dalla famiglia Torlonia, che vi intraprese numerose campagne di scavo volte al recupero delle opere d'arte.

La villa dei Quintili, per la cui costruzione gli architetti si ispirarono alla villa di Adriano a Tivoli, è una delle più vaste del suburbio: nel Settecento i suoi ruderi venivano ritenuti pertinenti a una città e per questo tutta la zona era conosciuta con il nome di Roma Vecchia. I reperti ivi rinvenuti sono sparsi nei musei e nelle collezioni di mezzo mondo.

La villa era costituita da vari settori, costruiti in epoche successive: i diversi scavi hanno consentito di individuare alcune cisterne, una serie di taberne e un ninfeo semicircolare, un grande giardino in forma d'ippodromo, ambienti termali e stanze residenziali. Dalla via Appia possiamo osservare con attenzione i resti ben conservati di un grande ninfeo con nicchia di fondo da cui sgorgava l'acqua di una grande fontana. Le nicchie laterali, intramezzate da colonne, dovevano ospitare statue e tutto l'ambiente doveva apparire come uno sfoggio di marmi preziosi.

Di fronte al ninfeo della villa, sul lato opposto dell'Appia, si conserva una statua funeraria femminile acefala del tipo consueto. Nelle immediate vicinanze, in corrispondenza del civico 290a, potete osservare un sepolcro costituito da un basamento a dado, sormontato da un tamburo poligonale nel cui interno è ricavata una scala a chiocciola che gira intorno a un pilastro cilindrico.

A poca distanza, sulla destra, un'iscrizione dedicata alla liberta Supsifana Nice ricorda che gli eredi spesero ben 27.500 sesterzi per la costruzione del suo sepolcro.

I più pigri potranno terminare qui l'itinerario; chi avrà voglia, potrà continuare per altri 800 metri e raggiungere Casal Rotondo, dopo aver costeggiato un tratto di strada ricco di iscrizioni e altri frammenti architettonici più o meno decorati.

Casal Rotondo è situato all'altezza del VI miglio dell'Appia. Il mausoleo cilindrico, più grande del mausoleo di Cecilia Metella con i suoi 35 metri di diametro era completamente rivestito di lastre di travertino, in parte ricollocate dal Canina. Il monumento doveva essere circondato da una serie di cippi posti ad intervalli regolari, che potete osservare sparsi disordinatamente nei pressi del monumento. Secondo il Canina il monumento presentava una copertura a cono culminante in un'edicola rotonda sormontata da un pinnacolo. I pezzi del supposto rivestimento superiore vennero collocati dal Canina nella quinta architettonica curvilinea che precede il monumento. Da notare in particolare alcuni frammenti con figurazione di candelabri e maschere sceniche e un'iscrizione con la parola "Cotta", in base alla quale il mausoleo è stato attribuito a Messalla Corvino, console nel 31 a.C. e amico di Tibullo, al quale l'edificio sarebbe stato dedicato alla fine dell'età repubblicana dal figlio Marco Valerio Messalino Cotta. Nel Settecento venne eretto sul mausoleo un casale con stalle, fienili e un piccolo oliveto, oggi trasformato in villa residenziale. Fiancheggiandolo, potrete osservare alcuni interessanti reperti, scampati al saccheggio dei ladri tra cui un frammento di fregio in travertino con grifi alati e un elemento architettonico curvilineo con fregio raffigurante un vaso ed elementi vegetali.

Termina qui il nostro itinerario lungo la via Appia antica: i più curiosi potranno proseguire fino all'altezza del Raccordo Anulare e provare ulteriori emozioni nel riscoprire quanto resta delle bellezze che fiancheggiavano questa strada affascinante.


Memo Associati

info

Per gli orari di visita e altre informazioni sulla Villa dei Quintili vedi il sito della Soprintendenza Archeologica di Roma.
http://archeoroma.beniculturali.it/node/174